"British Columbia 2"


Abbiamo visto molto brevemente, quanta importanza hanno avuto gli alberi nella vita gli uomini. E' un tema interessante che vorrei approfondire esaminando alcuni elementi di quella interrelazione uomo-natura che attraverso innumerevoli fili L'autore accanto ad un grande albero morto alla foce del Kitimat River nel Nord della British Columbia 
unisce il mondo fisico e materiale, con lo sviluppo storico del pensiero e l'evoluzione dell'uomo. La foresta, occupa un ruolo centrale nella storia dell'umanità, non solo da un punto di vista pratico per quello che essa metteva e ancora mette a disposizione materialmente per la vita delle comunità umane, ma anche dal punto di vista  dello sviluppo psichico, culturale e spirituale poiché la foresta dove i nostri antenati vissero per milioni di anni, rappresenta il luogo ancestrale di elaborazione dell'immaginario simbolico, di sacralità, di miti, di spiritualità e di poesia. Potrebbe sembrare eccessivo trattare argomenti come quelli che stiamo affrontando, in un sito che si occupa principalmente di Pesca con la Mosca e per questo desidero premettere alcune cose; in primo luogo ricordare a coloro che non sono interessati che, potranno semplicemente saltare la pagina e passare ad altro, in secondo luogo che l'argomento è così vasto e impegnativo che qui  potrà soltanto essere sfiorato e che perciò, chi vorrà approfondirlo troverà diversi di libri che trattano questi temi, ed infine, come diceva il grande fiorentino: "fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza".

Gli studiosi collocano nelle savane africane le prime presenze di ominidi dai quali si è evoluta la specie umana che, in seguito e molto lentamente, colonizzò tutte le aree emerse della terra. Tuttavia ancor prima che gli australopiteci si spostassero nelle savane, vissero per migliaia di anni  nelle foreste perché erano essenzialmente vegetariani, allo stesso modo delle grandi scimmie che ancora sopravvivono ai nostri giorni, come ad esempio i gorilla, gli oranghi e lo scimpanzé. Solo più tardi, con la comparsa di caratteri fisici specifici più evoluti, come una diversa dentatura, cominciarono a mangiare carne. Si può ipotizzare che i nuclei di ominidi non  abbiano abbandonato  del tutto la foresta ma che invece  abbiano utilizzato in modo  più stabile la savana  più ricca di selvaggina che cominciarono a cacciare. E' molto probabile che abbiano vissuto la loro esistenza alternandosi dalle foreste alle savane nel corso della loro lunghissima evoluzione,il Museo di Antropologia di Vancouver dato che le tribù primitive sopravvissute fino ai nostri giorni, studiate da molti antropologi, in Amazzonia, Australia, Africa,  Asia o in  Nuova Guinea, vivevano in gran parte nelle foreste. In Africa, il piccolo popolo di cui parlava già lo storico greco Erodoto, i Pigmei vivevano, e vivono ancora, nelle grandi foreste tropicali del Congo, Gabon, Camerun, Uganda, Ruanda, sono seminomadi, probabilmente lo sono da migliaia di anni, spostano cioè i loro accampamenti per esigenze di caccia e raccolta, mentre ancora vivono stabilmente nella savana africana molte tribù come i Boscimani, nome dato loro dagli olandesi e che significa uomo della foresta, ed i Himba della Namibia che oggi sono prevalentemente pastori. Un processo difficile che ha richiesto milioni di anni e che è stato condizionato  dai mutamenti anche drammatici e violenti che dovevano verificarsi spesso  nel mondo naturale in cui vivevano. E' nella foresta primordiale che i nostri progenitori  hanno imparato a sopravvivere  giorno dopo giorno ed a difendersi dagli altri animali, a prepararsi un letto di foglie fra i rami degli alberi con la paura della notte e degli eventi naturali ma anche con la meraviglia di un'alba o di un tramonto vissuto nel silenzio totale, interrotto dal suono della natura, dal canto degli uccelli, dal vento che parlava loro attraverso le foglie degli alberi e dallo scorrere del ruscello che cantava fra i sassi. Paure ed emozioni che sono giunte fino a noi attraverso  il Genoma, sotto forma di istinti innati, e che molto spesso, se pure inconsapevoli, determinano le nostre scelte e le nostre azioni. Quando rimaniamo affascinati dall'osservazione di una vallata delimitata da montagne e foreste, da un paesaggio innevata o da un fiume di acqua cristallina, oppure dai caldi colori degli alberi in autunno, o quando sogniamo di precipitare e ci svegliamo impauriti, o anche quando i nostri bambini ci dicono di avere paura del buio, dovremmo ricordarci che le nostre emozioni psicologiche-estetiche derivano da una predisposizione sviluppatasi nel corso della nostra evoluzione di specie e da condizionamenti che noi abbiamo ereditato. Come  scrive C.G.Jung: "La mente umana non nasce come tabula rasa, né ogni uomo ha un cervello del tutto nuovo ed a lui peculiare. Il cervello con cui l'uomo nasce è il risultato dell'evoluzione di una infinita serie di antenati", ed inoltre che, "In ognuno di noi vive un essere umano di due milioni di anni". Noi siamo in definitiva, il risultato di un processo storico di sintesi ininterrotto iniziato all'alba della vita sulla terra che continuerà sino alla fine del tempo.

In un epoca assai lontana, in un periodo chiamato  Paleolitico, si sviluppò fra le tribù umane una concezione spirituale della vita, definita dall'antropologo J.B.Taylor "Animismo" che attribuisce uno "spirito vitale", un "soffio vitale", "un' anima interna immortale"  a tutti gli esseri  naturali, viventi e inanimati, compresi i fenomeni naturali, che vengono considerati espressione di "spiriti" molto potenti che animano sia il mondo reale che quello invisibile, che possono influire sul benessere personale e su quello della comunità, oppure provocare catastrofi naturali e tragedie umane. Probabilmente a partire dall'esperienza del sogno e degli stati psico-allucinatori gli uomini che vivevano allora, trassero la convinzione che i fenomeni di sdoppiamento e le visioni oniriche fossero causa dell'esistenza di un "doppio": il "doppio" o "anima", o "spirito", avrebbe avuto un'esistenza autonoma, sia nel corso della vita, sia dopo la morte. Nella fase del  sogno si può infatti avere la sensazione, che uno spirito-anima lasci il nostro corpo fisico per vagare verso mondi lontani e irreali, visitare il mondo di spiriti ignoti oppure incontrarne alcuni a noi cari, spostarsi  in luoghi a noi familiari oppure totalmente sconosciuti:

"L'anima di uno che dorme è supposta vagare lontano dal corpo e visitare realmente quei luoghi e vedere quelle persone o compiere gli atti di cui sogna. Così quando un indiano del Brasile o della Guiana si sveglia da un sonno profondo, è perfettamente convinto che la sua anima sia andata realmente a cacciare, pescare, tagliare alberi o qualunque cosa abbia sognato di fare mentre il suo corpo giaceva esanime sull'amaca".
                                                   J.Frazer - "Il Ramo D'Oro"

La morte poi confermerebbe l'esistenza di uno "spirito" quando il corpo fisico resta "inanimato" abbandonato cioè dal suo "soffio vitale" o "spirito". Secondo la visione del mondo "animista"  la vita e la morte sono parte di uno stesso ciclo di rigenerazione continua e quindi la morte non è che una fase nel sacro ciclo di rinascita perché lo "spirito vitale", "l'anima"  non muore mai, ma può invece trasferirsi in altri corpi. Tutto il mondo che circonda le tribù primitive umane è quindi abitato da "spiriti", "anime", più o meno potenti, buoni ma anche malvagi, con i quali convivere. Nelle foreste primordiali lussureggianti e colme di animali nelle quali vivevano i nostri progenitori, l'incontro con esseri straordinari era continuo, non solo con animali di tutti i tipi, compresi quelli pericolosi e feroci, ma anche con metafore viventi del tempo come alberi secolari giganteschi. La vita, oltre che breve, doveva anche essere dura, incerta e rischiosa, e il confine tra la vita e la morte estremamente sottile esposti com'erano ad ogni sorta di pericolo, oltre alle condizioni climatiche ed ai sempre possibili eventi naturali catastrofici e inattesi. Ai nostri lontani antenati la vita doveva presentarsi piena di insidie e la natura incutere un rispettoso timore, una paura psicologica che doveva essere angosciosa e risolversi in una adorazione di tipo mistico. Leonard Clark, che esplorò la foresta Amazzonica nel 1946, a questo proposito  annota quanto segue:

"Ma, in verità, a preoccuparmi sul serio era un'altra cosa ancora: la presenza in quei luoghi di un non so che di latente, come il cappio di un boia che mi penzolasse sulla testa, qualche cosa di fantomatico che aleggiava in ogni angolo della giungla immensa... un residuo dell'era mesozoica. Gli indios selvaggi, forniti di una ricettività psichica raffinatissima, danno un nome a questa cosa: Curupuri, lo spettro della foresta. E Curupuri o non Curupuri, certo si tratta di un fenomeno effettivo, come una forza della natura, una passività insidiosa che conduce l'uomo alla pazzia".
                                     Leonard  Clark - " I fiumi Scendevano a Oriente"

Anche il grande Jack London riesce a rendere molto verosimile il timore che la foresta poteva generare nella mente di un giovane ominide, vissuto migliaia di anni prima della nascita di Adamo:

"Ah! quelle foreste sterminate e i loro orrendi bagliori. Per quale immensità di tempo ho errato nelle loro profondità, povera creatura timida e perseguitata, sobbalzando al minimo rumore, atterrita dalla mia stessa ombra, sempre all'erta e vigile, pronto ad ogni momento a lanciarmi come una freccia in  una corsa disperata, per salvare la vita!  Infatti, io ero la misera preda di ogni sorta di bestie feroci che erravano in quella foresta e, soffocato dalla paura, fuggivo disperatamente davanti ai mostri che mi inseguivano".
                                             Jack London - "Prima di Adamo"

Prosegue  con British Columbia 3

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